avv. Giovanni Pettoello
La Legge n. 203 del 13 dicembre 2024 (c.d. “Collegato Lavoro”) ha introdotto una rilevante novità in materia di assenza ingiustificata del lavoratore.
Quando il lavoratore rimane assente dal lavoro, senza giustificazione, per una durata almeno pari a quella prevista dal CCNL di riferimento, il datore di lavoro può legittimamente licenziarlo per giusta causa, all’esito di un procedimento disciplinare.
Ad esempio, il CCNL Terziario prevede che il licenziamento possa essere comminato a fronte di una assenza ingiustificata di oltre tre giorni nell’anno solare, mentre il CCNL Pulizia Multiservizi consente il licenziamento in caso di assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni consecutivi, ecc.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di situazioni relativamente semplici, nelle quali la legittimità del licenziamento difficilmente può essere contestata.
Ciò nonostante, tra gli addetti ai lavori la materia era oggetto di discussione, già da qualche anno: ciò, in quanto nella prassi a volte accadeva che il lavoratore rimanesse volutamente assente dal lavoro, proprio allo scopo di farsi licenziare e di poter così accedere al trattamento di NASPI.
Come noto, infatti, il nostro ordinamento riconosce il diritto alla NASPI solo in caso di disoccupazione involontaria, e quindi non nelle ipotesi in cui sia il lavoratore a risolvere il rapporto di lavoro dimettendosi: questo è il motivo per cui, come detto, a volte accadeva che il lavoratore, deciso a chiudere il rapporto ma non a rinunciare alla NASPI, rimanesse assente, senza rendere giustificazioni, fino al momento in cui l’azienda decideva di licenziarlo.
Ciò però costituiva un costo, per l’azienda, tenuta a versare all’INPS il c.d. “contributo NASPI”, il cui importo, nel 2024, poteva giungere fino a 1.550,42 euro. Per questo motivo, alcune aziende avevano aperto dei contenziosi, con i lavoratori licenziati.
In particolare, il Tribunale di Udine aveva affermato, con la sentenza n. 20 del 27 maggio 2022, che l’assenza ingiustificata prolungata del lavoratore deve essere interpretata come volontà chiara di cessare il rapporto, e pertanto può essere equiparata alle dimissioni di fatto.
Con il Collegato Lavoro del 2024 (art. 19), il Legislatore ha, di fatto, recepito questo orientamento, stabilendo che in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal CCNL (o comunque in caso di assenza superiore a quindici giorni), il datore di lavoro può darne comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità di tale comunicazione. In questo caso, il rapporto di lavoro si intenderà risolto per volontà del lavoratore, non trovando applicazione la normativa (art. 26 D. Lgs. 151/15) che prevede, in linea generale, che le dimissioni debbano essere presentate in forma telematica, a pena di inefficacia. Il lavoratore, di conseguenza, non potrà chiedere il riconoscimento della NASPI.
Rimane salva la facoltà, per il lavoratore, di dimostrare di essersi trovato nell’impossibilità – per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro – di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
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